Anche il proverbio vuole la sua parte.
Proverbi e modi di dire nell’insegnamento dell’italiano come lingua materna
di Paola Mondani
Che cosa sono i proverbi?
Il proverbio – dal lat. proverbium, che sta forse per “verbum pro verbo”, cioè ‘atto verbale che sta a rappresentarne un altro’ (Franceschi 2004: IX) – è una frase autonoma, breve e dal carattere sentenzioso, con cui vengono enunciate verità ricavabili dall’esperienza, universalmente e convenzionalmente accettate da una comunità. I proverbi sono presenti nella memoria collettiva, vengono tramandati in forma sia orale sia scritta e il loro uso è attestato in tutte le società umane (Lapucci 2007: IX). In pochissime parole essi condensano idee, convinzioni e constatazioni di carattere generale applicabili ai più diversi contesti comunicativi: attraverso i proverbi si possono dispensare consigli, si può mettere in guardia da un pericolo, si può far sorridere, divertire, riflettere. L’efficacia espressiva dei proverbi dipende non solo dal contenuto socioculturale di cui sono portatori e testimoni, ma anche dalla loro composizione formale: sono frequenti i giochi di parole e l’uso di figure retoriche come la metafora (il mattino ha l’oro in bocca; il lupo perde il pelo ma non il vizio) e la similitudine (la pazienza è come la pipì…prima o poi scappa) e le parole sono combinate tra loro in modo armonioso dal punto di vista fonico-ritmico (chi la fa, l’aspetti; chi si scusa, si accusa; occhio non vede, cuore non duole; parenti, serpenti; rosso di sera, bel tempo si spera) (Soletti 2011: 1183).
Che cosa sono i modi di dire?
I modi di dire (tecnicamente, espressioni idiomatiche) presentano le seguenti caratteristiche: a) diversamente dai proverbi, il verbo che li compone può variare; cioè, può essere coniugato in modo da adattarsi alla frase: per esempio, l’espressione idiomatica mettersi nei panni altrui, in una battuta dialogica potrebbe suonare come «mettiti nei miei panni!», con il verbo all’imperativo; b) diversamente dai proverbi, il contenuto che rappresentano e le esperienze che evocano sono sempre attuali, cioè non decadono con il variare delle condizioni socioculturali; c) proprio come i proverbi, anche i modi di dire sono sempre costituiti da un elemento figurale (nell’esempio precedente, i panni che rappresentano il corpo, cioè l’esperienza altrui) (Serianni 2010: 71).
Il proverbio come specchio di una società arcaica
I proverbi sono notoriamente espressione di un’antica saggezza popolare, perché «la gente comune ne ha fatto sempre largo uso, ma queste formule sapienziali, a volte antichissime, provengono anche dalla tradizione colta» (Lapucci 2007: IX). Nascono quindi nel passato, in seno a società arcaiche, e sono «legati a valori e ritmi di vita arcaici, a partire dal grande spazio riservato al mondo contadino» (Serianni 2010: 72); sono pochi i proverbi “moderni”: la formazione neologica si è praticamente arrestata a partire dalla seconda metà del secolo scorso (Boggione 2004: XXV), eccezion fatta per alcune creazioni favorite dallo sviluppo tecnologico di quegli anni, come donna al volante, pericolo costante (Soletti 2011: 1184). La decadenza dei proverbi nel mondo contemporaneo è quindi strettamente connessa al tramonto della civiltà contadina: sebbene rimangano ancora in uso nella comunicazione quotidiana, essi vengono per lo più «impiegati per inerzia, come stereotipi, spesso fraintesi nel loro significato originario». D’altronde, i proverbi non hanno spazio nei nuovi linguaggi giovanili e le persone giovani sembrano ricordare e comprendere con difficoltà persino quelli più noti e diffusi (Soletti 2011: 1184). Fanno sorridere, e danno modo di riflettere, malapropismi come «tutto contorno e niente fumo» (Serianni 2010: 73), singolari mescolanze del tipo «non è frutto del mio sacco» o riscritture per somiglianza di suono quali «tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zampino», perché in un mondo dove il lardo in cucina è ormai in disuso, «l’idea del gatto che invece si spinge in alto mare fino ad affogare è forse più ragionevole» (Gheno 2019: 26).
L’alterazione dei proverbi a scopo umoristico e la creazione di nuovi modi di dire
La decadenza dei proverbi nell’uso linguistico contemporaneo è dunque legata essenzialmente alla percezione di una distanza culturale dai valori che essi veicolano. Questa percezione trova ampia conferma nella pratica umoristica di variare la forma dei proverbi più conosciuti e usati, smitizzando e riattualizzando le verità che enunciano. In quest’ottica divertita e pervasa di cinismo, detti ben noti quali Chi non lavora, non mangia, Se son rose fioriranno e La fortuna è cieca diventano Chi non lavora, mangia, Se son rose appassiranno e La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo (Cocco 2014: 104-105). E la stessa sorte è toccata anche ai modi di dire, che divengono appannaggio della pubblicità, variati nella forma oppure ricontestualizzati (I nostri polli possono andare a cresta alta; Tessile cinese: filo da torcere; Meglio non rimanere scottati – pubblicità di una crema solare). Insomma, che il proverbio ci piaccia o no, le funzioni del gioco e della creazione linguistica che sono alla base della sua origine non si sono certo estinte con l’avvento della modernità.
Ma qual è stato e qual è il posto dei proverbi e dei modi di dire nell’insegnamento dell’italiano a scuola e in che misura la loro graduale perdita di centralità si è riflessa anche nei manuali didattici?
Fig. 1 Esempio di proverbio riscritto in chiave ironica (Una mela al giorno toglie il medico di torno). Fig. 2 Esempio di modo di dire rielaborato a fini pubblicitari
Proverbi e modi di dire nelle grammatiche scolastiche: Dal 1861 al 1969 …
Nei manuali per le scuole elementari postunitari (1861-1919), proverbi e modi di dire assumevano ancora una duplice importantissima funzione: da un lato, servivano «a delineare un sistema etico di riferimento per i nuovi italiani» (Dota 2020: 200) – si pensi a detti quali Chi fa per sé, fa per tre; Chi dorme non piglia pesci; Guardare e non toccare è cosa da imparare; Le piccole spese son quelle che vuotano la borsa; Quando c’è la volontà c’è tutto –, dall’altro si prestavano bene come modelli linguistici per l’acquisizione di un italiano comune e per l’apprendimento delle strutture della lingua: per esempio, il proverbio Sbagliando s’impara è impiegato per mostrare l’uso del gerundio, o ancora, la corretta pronuncia della voce verbale ammazza (distinta da ammassa) viene presentata attraverso il detto La troppa speranza ammazza l’uomo, mentre il modo di dire Bianca come la neve serve a introdurre le forme comparative (Dota 2020: 206). I proverbi e le espressioni idiomatiche caratterizzavano non soltanto le sezioni dedicate alla teoria, ma anche – quando presenti – quelle dedicate agli esercizi: «i pochi esercizi di cloze o inserimento incentrati su singole parti del discorso» (Dota 2020: 209) dovevano servire al consolidamento di aspetti grammaticali quali per esempio articoli («Tanto va … gatta al lardo, che vi lascia … zampino»), preposizioni («Chi fa … sè, fa … tre») e congiunzioni («Bisogna mangiare per vivere … non vivere per mangiare») (Dota 2020: 209).
Anche in molte grammatiche destinate alle scuole elementari, medie e superiori pubblicate tra gli anni Venti e gli anni Sessanta, i proverbi e i modi di dire erano impiegati «come materiale linguistico per esercitarsi su questo o quell’aspetto della grammatica» (Bachis 2019: 111). In qualche caso, invece, l’esercitazione poteva essere rivolta anche ad aspetti del significato: è il caso, per esempio, di un esercizio in cui viene richiesta la spiegazione di espressioni come Affogare in un bicchier d’acqua, Essere fra l’uscio e il muro e Salvar capra e cavoli, in un manuale del 1927 destinato alle scuole elementari (Bachis 2019: 111).
… dagli anni Settanta a oggi
La graduale decadenza del proverbio nel corso della seconda metà del XX secolo ha avuto un riflesso anche sull’uso e sulla trattazione di questo materiale linguistico nei libri di grammatica: nei manuali di tutti gli ordini scolastici, in particolare in quelli editi dagli anni Settanta del Novecento in poi, «diminuisce sensibilmente la proposta di proverbi ed espressioni idiomatiche» (Bachis 2019: 112). La loro presenza nei manuali si fa via via sempre più marginale e, quando presenti, i proverbi e i modi di dire sono per lo più relegati al ruolo di comparse occasionali: si affacciano qua e là nelle spiegazioni teoriche e negli eserciziari, ma per lo più come «unità inanalizzate», cioè non approfondite né spiegate, (Nitti 2022: 42), mentre soltanto in qualche caso vengono presentati in maniera esplicita nell’indice dei contenuti e poi illustrati sinteticamente nella teoria. Insomma, nell’insegnamento dell’italiano come lingua materna oggi, i proverbi e i modi di dire sembrano essere relegati «ai margini dell’azione didattica e dell’educazione linguistica, sulla base dell’assunto che un parlante nativo ne sarebbe pienamente in possesso» (Nitti 2022: 37).
Qualche segnale di cambiamento?
Fig. 3 e 4 Box su modi di dire e proverbi in una grammatica per la scuola secondaria
Analizzando la struttura e la composizione di alcuni testi di grammatica destinati alla scuola secondaria, pubblicati tra il 2019 e il 2021, si è notato come in uno di questi, la presenza negli eserciziari di proverbi e modi di dire non fosse lasciata al caso. Al margine di attività di completamento o di individuazione su frasi costituite da elementi idiomatici, compaiono infatti dei “box” di approfondimento per spiegare l’origine e il significato di questi ultimi.
Questa scelta editoriale sembrerebbe collocarsi in seno a una più generale riflessione sulla necessità di guidare la comprensione e l’apprendimento del lessico in modo da favorirne l’acquisizione. Negli ultimi anni, la tendenza a produrre brevi “focus” per evidenziare le parole chiave di ogni argomento e offrirne una breve definizione sta prendendo piede nei libri di scuola di tutte le discipline, con un’attenzione particolare al lessico tecnico di materie come la storia, la geografia e le scienze naturali. Al tempo stesso, gli studi più recenti dedicati alle espressioni idiomatiche e ai proverbi stanno mettendo in luce l’importanza, nell’insegnamento della grammatica italiana, di trattare sia nella teoria sia nella pratica i meccanismi di funzionamento degli elementi idiomatici della lingua (Nitti 2022: 39). Riflettere su questi aspetti, infatti, può favorire l’acquisizione della cosiddetta «competenza testuale», cioè della capacità che tutti noi abbiamo di comprendere il significato di modi di dire e proverbi (che non hanno mai un significato letterale!) semplicemente facendo leva sulla nostra enciclopedia linguistico-culturale, cioè sul nostro bagaglio di conoscenze relative alla lingua e al mondo in cui viviamo (Palermo 2013: 42).
novembre 2023
Per saperne di più
Dalila Bachis, Le grammatiche scolastiche dell’italiano edite dal 1919 al 2018, Firenze, Accademia della Crusca, 2019.
Francesca Cocco, Il proverbio cambia il pelo ma non il vizio. Un’introduzione all’alterazione dei proverbi italiani nel linguaggio umoristico, enigmistico e pubblicitario, in «Paremia», XXIII 2014, pp. 101-109.
Michela Dota, «Chi fà da se fà per tre». Forme e funzioni dei modi di dire nelle grammatiche per le scuole elementari, «Studi di grammatica italiana», XXXIX 2020, pp. 199-216.
Temistocle Franceschi, La formula proverbiale, in Valter Boggione, Lorenzo Massobrio, Dizionario dei proverbi. I proverbi italiani organizzati per temi. 30000 detti raccolti nelle regioni italiane e tramandati dalle fonti letterarie, Torino, UTET, 2004, pp. IX-VIII.
Vera Gheno, Potere alle parole. Perché usarle meglio, Torino, Einaudi, 2019.
Carlo Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, Milano, Mondadori DOC, 2007.
Paolo Nitti, Il proverbio nei manuali di italiano della scuola primaria, in «Phrasis. Rivista di studi fraseologici e paremiologici» VI 2022, pp. 37-48.
Massimo Palermo, Linguistica testuale dell’italiano, Bologna, il Mulino, 2013.
Luca Serianni, Sulla componente idiomatica nell’italiano di oggi, In Pier Marco Bertinetto, Claudio Marazzini, Elisabetta Soletti (a cura di.), Lingua storia cultura: una lunga fedeltà. Per Gian Luigi Beccaria. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Torino, 16-17 ottobre 2008), Edizioni dell’Orso, Alessandria, pp. 69-88.
Elisabetta Soletti, Proverbi, in Enciclopedia dell’italiano, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2011, vol. II, pp. 1182-1184; disponibile anche in rete, all’indirizzo: https://www.treccani.it/enciclopedia/proverbi_(Enciclopedia-dell'Italiano).